A differenza del fondo cassa per i lavori straordinari, la cui costituzione obbligatoria per legge è deliberata con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio, per la creazione del fondo cassa morosi, che serve a coprire le quote non versate dai condomini che fruiscono di servizi comuni, è necessario il voto unanime dei condomini proprietari.
Prima della riforma del condominio (legge 220/2012), sulla scia di alcuni pronunciamenti della Cassazione, nei casi di effettiva urgenza, anche per deliberare a favore del fondo morosi era sufficiente la maggioranza prevista dall’articolo 1136 comma2 del Codice civile. I giudici (cassazione 5 novembre 2001 13631) avevano osservato che in mancanza di diversa convenzione adottata all’unanimità quale espressione dell’autonomia negoziale, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente aver luogo secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’articolo 1123 del codice civile e, pertanto, non è consentito all’assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi e tuttavia, in ipotesi d’effettiva improrogabile urgenza di trarre aliunde le somme necessarie, come non caso d’aggressione in executivis da parte di creditori del condominio, può ritenersi consentita una deliberazione assembleare con la quale, similmente a quanto avviene in un rapporto di mutuo, si tenda a sopperire all’inadempimento del condomino moroso con la costituzione d’un fondo cassa ad hoc tendente ad evitare danni ben più gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti, dal vincolo di solidarietà passiva operante ab esterno, alle azioni di terzi.
Con la riforma, che in tema di morosità ha accresciuto i poteri dell’amministratore, l’unanimità è tornata a essere l’unica via per approvare il fondo morosi. L’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile prevede, infatti, che i creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’esecuzione degli altri condomini. L’amministratore ha sei mesi di tempo, che decorrono dalla chiusura annuale dell’esercizio, per agire nei confronti dei condomini inadempienti e, senza l’autorizzazione dell’assemblea, può ottenere nei loro confronti un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. E’ necessario produrre al giudice il verbale dell’assemblea condominiale con le delibere di approvazione del bilancio consuntivo o preventivo e di eventuali spese straordinarie; i prospetti di ripartizione delle spese, nonché le eventuali diffide inviate dall’amministratore al condomino moroso. Sempre l’amministratore, in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, ma soltanto se la conformazione dell’impianto permette il distacco. L’interruzione non può riguardare i servizi essenziali, vale a dire quelli la cui mancanza possa pregiudicare il diritto costituzionale alla tutela della salute, sancito dall’articolo 32 della Costituzione.
Infine, riguardo alla possibilità per i condomini adempienti di recuperare le quote di spesa anticipate ai morosi, qualora questi ultimi continuino a non pagare dopo aver ricevuto il decreto ingiuntivo, l’ter legislativo prevede il pignoramento dei beni e la loro vendita all’asta. E’ compito dell’amministratore ripartire tra i condomini creditori il ricavato ottenuto dalla vendita dei beni, sempre in base ai millesimi di riferimento.